Stragi di mafia: per non dimenticare 30 anni dopo

Di Hina Noor Mufti 2°B LES 

Il 2022 è un anno particolare per un motivo altrettanto particolare: ricorrono i trentennali delle stragi di mafia del 1992. In questi eventi bisogna innanzitutto ricordare il ruolo delle scorte: persone che dedicano la propria vita per essere spesso dimenticate. Occorre ricordare che la mafia non è stata sconfitta, ha solo cambiato pelle, non è più armata, ma è più forte perché non fa più così tanto rumore.  Occorre ricordare che per arrivare fino alle leggi contro la mafia, prima si è dovuto spargere molto sangue. 

23/05/1992 – Strage di Capaci 

Il 23 maggio ricordiamo la strage di Capaci. Per prima cosa, occorre sapere che Giovanni Falcone torna in Sicilia per vedere la mattanza dei tonni a Palermo. Atterra all’aeroporto di Cinisi (paese natale di Peppino Impastato), per poi percorrere l’autostrada che porta al capoluogo. Dopo 8km, Falcone e la sua scorta raggiungono il Comune di Capaci.  Hanno 3 auto, delle Fiat Croma: una ha come nome in codice Quarto Savona 15, l’auto blindata del magistrato e della moglie (è bianca e si trova in mezzo), e una Quarto Savona bis. Tutte queste auto blindate sono collegate tra loro, tutte a 100-120km all’ora e a distanza di 100 metri. Questo per permettere alla personalità scortata un transito più veloce e sicuro. 

Sotto all’autostrada ci sono dei passaggi. Sotto questi possono passare auto o persone a seconda delle dimensioni, e in alcuni ci sono solo dei fori. In uno di questi sono stati piazzati 500kg di tritolo.  

Quando viene azionato il telecomando da un capanno nascosto nelle colline lì vicino, tutti quelli che sono nella Quarto Savona 15 muoiono. L’auto è stata trovata 200m dopo. Dentro si trovano Antonio Montinaro, padre di due figli piccoli; Rocco Di Cillo, fidanzato; Vito Schifani, appena diventato padre. L’esplosione causa un’apertura nell’asfalto e la Croma bianca (sulla quale viaggiano Giovanni Falcone e la moglie) si schianta contro quest’apertura. La moglie di Falcone, Francesca Morvillo, muore immediatamente a causa dell’impatto (dopo lo schianto entrambi vengono colpiti allo stomaco dal muro di asfalto), mentre Falcone muore solo poco dopo. Nella stessa Croma c’è anche l’autista, Peppino Costanzo: sopravvive perché era seduto dietro, salvandosi così dall’impatto. Nella Quarto Savona 15 bis, invece, sopravvivono tutti. 

19/07/1992 – Strage di Via d’Amelio 

38 giorni dopo, il 19 luglio, l’amico e collaboratore di Falcone, Paolo Borsellino, sa già che deve morire. Ma non scappa. Lo sa perché tre pentiti lo avevano confessato. I due magistrati hanno già condiviso l’infanzia, il corso di studi e il lavoro.  Adesso finiscono per condividere il motivo del loro assassinio: l’essere scomodi alla mafia. 

Alle 17:58, quando Borsellino va a trovare la madre ed ha appena suonato il campanello, esplode una macchina riempita di tritolo e appositamente parcheggiata lì. Muoiono sia il magistrato che la scorta, eccetto Antonio Burgo ma questo perché stava facendo manovra e non si trovava nel luogo dell’impatto. L’esplosione produce un cratere nel quale verrà piantato un ulivo, per volere della madre di Borsellino. 

26/07/1992 – Morte di Rita Atria 

Una settimana dopo, il 26 luglio, muore Rita Atria; all’età di neanche 18 anni. Insieme alla cognata Piera Aiello, è testimone di giustizia prima per vendicare il fratello Nicola, e poi per puro spirito di giustizia. Successivamente all’uccisione di suo fratello, Rita e Piera si legano molto a Paolo Borsellino, specialmente Rita. Infatti, Borsellino considerava Rita quasi come una figlia: ciò lo porta ad avere un atteggiamento quasi paterno con lei. La chiama ‘a picciridda (piccolina in dialetto siciliano), mentre Rita per rispetto lo chiama ‘zio Paolo’. 

Quando Rita apprende che Borsellino è stato assassinato, lei si dispera: padre ucciso; fratello ucciso; una madre che non la riconosce mai più come sua figlia, che veemente continua a negare l’esistenza della mafia; adesso il suo amato zio Paolo, in cui aveva riposto tutte le sue speranze per il futuro, non è più vivo. Rinuncia alla vita a causa del dolore che questo evento le ha portato, per poi avere la sua tomba martellata da sua madre. Quando poi muore la madre di Rita, la cognata Piera Aiello fa ricostruire la tomba. 

Rita Atria, che in un primo momento viene etichettata come collaboratrice di giustizia nonostante non sia lei stessa mafiosa, viene riconosciuta come testimone di giustizia solo nel 2019. 

Detto ciò, nessuno può più pensare che la mafia ci sia solo al Sud. Solo a Brescia ci sono più di 250 beni confiscati alla mafia, riutilizzati a scopi sociali (biblioteche, scuole, centri culturali…) oppure in attesa di esserlo. A permettere la confisca di questi beni è stata la legge Pio La Torre, emanata nel 1982 e il cui proponente fu assassinato nello stesso anno con un colpo di pistola. 

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