Rab: il campo di concentramento “dimenticato” dall’Italia

di Ilario Melloncelli, 4^C LSU

E’ cosa nota ai più che lungo le coste dell’attuale Croazia vi sia una quantità esorbitante di isole, di cui alcune attirano ogni estate centinaia, se non migliaia, di turisti (le più famose sono Pag, Krk e Korčula): tra queste isole, ve ne sono alcune meno note, che, tuttavia, celano pezzi di storia spesso ignoti o semisconosciuti. In particolare, l’Isola di Rab (in Italiano “Arbe”) ospita una pagina buia della storia della Croazia ed, in generale, dell’ex Jugoslavia, ma anche dell’Italia.
Fra il 1942 ed il 1943, dopo che l’Italia l’aveva occupata militarmente nel 1941, quest’isola ospitò uno dei campi di concentramento più grandi e allo stesso tempo meno conosciuti dell’Italia fascista.
Gli internati erano principalmente civili Sloveni e Croati e la motivazione del loro internamento risiedeva proprio nella loro appartenenza etnica, dato che gli Slavi, sin dal momento che il fascismo prese piede in Italia, furono considerati una “razza” barbara ed inferiore. In Istria, sul Carso e nelle valli dell’Isonzo, così come a Fiume e Zara, territori acquisiti dall’Italia fra il 1919 ed il 1920 a seguito della Prima Guerra Mondiale, i pogrom fascisti contro persone di etnia slava cominciarono già nel 1920/21 con aggressioni, stupri, incendi di villaggi e sedi di associazioni culturali, ed altri tipi di violenze che vennero poi istituzionalizzate e condite con l’italianizzazione forzata di cognomi e toponimi slavi dopo la Marcia su Roma e la conseguente ascesa al potere di Mussolini. Tornando al 1941, in quell’anno l’Italia, insieme a Germania nazista, Ungheria e Bulgaria, invase l’allora Regno di Jugoslavia, occupando buona parte delle coste dell’attuale Croazia, la Slovenia sud-occidentale, il Montenegro e parti del Kosovo e della Macedonia. Su tutte queste terre, in particolare Slovenia, Croazia e Montenegro, l’Italia estese le proprie politiche anti-slave, compiendo violenze di ogni genere ed istituendo numerosi campi di concentramento. Il più importante di questi era il sopracitato campo di Rab, dove è stato stimato che furono internate fra le 10000 e le 21000 persone, di cui tra le 1400 e le 3500 morirono soprattutto a causa di freddo, fame e malattie ed in cui, secondo alcuni storici, il tasso di mortalità raggiunse un livello del 15% (pari al tasso di mortalità del Campo di concentramento di Buchenwald; anche se il dibattito storico a riguardo è ancora in corso).
Il lager fu istituito nel 1942 per internarvi Ebrei e, in particolare, appunto, prigionieri Slavi, spesso civili; paradossalmente, come spiega Eric Gobetti nel libro “Alleati del nemico”, per gli internati di fede ebraica l’internamento rappresentò una protezione dagli orrori cui sarebbero stati sottoposti nei territori occupati dai nazisti o sotto il controllo degli Ustascia, formazione Croata filofascista che, nelle attuali Croazia centro-orientale e Bosnia, aveva costituito uno Stato fantoccio italo-tedesco. La maggior parte di essi, infatti, proveniva proprio da territori controllati da questi ultimi e proprio il tentennamento delle autorità italiane a cedere tali prigionieri al governo Ustascia causò non pochi attriti fra quest’ultimo e Roma, che, più o meno segretamente, cercava, almeno fino al 1943, di risparmiare gli Ebrei dallo sterminio. Per gli internati Slavi, invece, come abbiamo visto, fu invece una detenzione segnata dalla chiara volontà da parte italiana di portare alla morte quanti più “barbari” (come amava definirli la propaganda di Mussolini) possibile.
Dopo circa un anno di attività, il campo chiuse i battenti quando venne liberato dai partigiani jugoslavi titini a seguito dell’Armistizio dell’8 settembre 1943; da allora, e successivamente dalla fine della Seconda Guerra Mondiale nel 1945, non si è però levata nessuna voce di scusa o di commemorazione da parte italiana. Nella storiografia ufficiale italiana questi episodi, che pure hanno influito pesantemente sui sentimenti anti-italiani che, fra il 1943 ed il 1945, hanno portato ai Massacri delle Foibe (ricordati il 10 febbraio di ogni anno dal 2004), sono completamente dimenticati: in questo modo si trascura del tutto quella visione oggettiva che permette un’analisi corretta dei fatti storici e si distorce la memoria di eventi come i sopracitati Massacri delle Foibe, per tornaconti ideologici di alcune aree politiche che hanno interesse ad estrapolare tali fatti dal proprio contesto, per creare una propria memoria storica in cui i criminali fascisti diventano “povere vittime”. Se nella nostra storiografia comprendessimo anche quelli che sono stati i nostri aspetti negativi, analizzandoli ed accettandoli, magari anche scusandoci con chi li ha subiti, forse potremmo vivere con maggior consapevolezza anche certe ferite nella nostra memoria collettiva, senza che esse vengano utilizzate come arma propagandistica o etichettate come “incidenti di percorso”.

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