I lati nascosti di Fabrizio De André: Giorgio Cordini ricorda il cantautore genovese

a cura di Matteo Franzoni

Intervista a Giorgio Cordini, chitarrista di Fabrizio de André. Dal 1991 ha accompagnato i suoi tour suonando, oltre che la chitarra, anche il bouzouki (strumento per cui ha scritto un manuale).

Come ricordare Fabrizio?

Credo che il modo migliore per ricordare uno dei più grandi poeti e cantautori italiani di sempre sia quello di ascoltare le sue canzoni e di farle ascoltare a chi ancora non le conosce. Per chi ha la fortuna di saper suonare uno strumento musicale c’è anche la possibilità di imparare a suonarle e cantarle. Le canzoni di Fabrizio De André di solito non sono particolarmente difficili e la chitarra è senza dubbio lo strumento che più si adatta per eseguirle. Per ricordarlo ci si può anche procurare e leggere uno dei numerosissimi libri che in questi vent’anni di sua assenza sono stati pubblicati. Ormai costituiscono una sterminata e particolareggiata bibliografia e trattano ogni aspetto della vita e delle opere di questo grande poeta e musicista.

Come De André viveva il ricordo di altri artisti scomparsi che lo ispirarono?

Questa è una domanda molto particolare, rispondendo alla quale si può mettere in evidenza uno degli aspetti peculiari del carattere di Fabrizio De André, cioè la sua umiltà e più precisamente la sua riluttanza e spesso il rifiuto assoluto nel voler apparire. Il ricordo va alla scomparsa di un altro grande cantautore, quel Luigi Tenco che nel 1967 si suicidò lasciando sbigottiti tutti gli addetti ai lavori e gli appassionati del mondo della canzone. Tenco era un amico di Fabrizio De André, il quale venne toccato profondamente dalla sua scomparsa, al punto di scrivere per lui una bellissima canzone, “Preghiera in gennaio”. Ma non rivelò questo particolare, che venne per così dire scoperto molto tempo dopo, quando qualcuno si rese conto che il testo poteva far pensare a un riferimento alla morte di Luigi Tenco e quasi costrinse Fabrizio a rivelare il suo piccolo segreto.

Perché la sua scelta di dedicare a De André un libro e non un album?

In effetti in questi vent’anni di assenza di Fabrizio De André mi sono dedicato più volte, da solo o in collaborazione con altri musicisti, a progetti che riprendono brani del suo repertorio realizzando diversi album, tra cui “Senza Parole” (2018), “I Fiori di Faber” (2010), “La Buona Novella” (2006), “Disarmati” (2002). Pur non avendo mai avuto velleità di scrittore, questa volta ho pensato di raccogliere i miei ricordi di quegli otto anni trascorsi suonando nella sua band, dando vita a un libro che è appunto una sorta di diario di quel fortunato periodo della mia vita. Fra l’altro la ricorrenza del ventennale della sua scomparsa mi ha spinto a finire il lavoro in modo che potesse essere pubblicato fin dall’inizio di quest’anno. Credo che gli aneddoti e gli episodi di vita vissuta a fianco del cantautore genovese, contenuti nel libro, possano incuriosire e attirare l’interesse dei tanti appassionati di De André, che sembrano crescere in numero di anno in anno.

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