DDL PILLON: RIFORMA DEL DIRITTO DI FAMIGLIA O LEGITTIMAZIONE DELLA VIOLENZA DI GENERE?

di Carlotta Gadola e Noemi Piazza

Questo l’interrogativo apertosi dopo l’incontro promosso dal gruppo Amnesty International Brescia il 12 dicembre 2018 in occasione dei 70 anni della Dichiarazione dei Diritti Umani.

Tale riflessione è stata stimolata dagli interventi di sei ospiti: donne attive contro la violenza di genere. La prima a intervenire è stata l’Assessora alle Pari Opportunità di Brescia Roberta Morelli, seguita da Anna Castoldi di Non una di meno Brescia, Chiara Rossini con una testimonianza da Casa delle donne Brescia, la psicologa e psicoterapeuta Eleonora Inverardi, l’antropologa culturale Serena Fiorletta di AIDOS (Associazione Italiana Donne per lo Sviluppo) e ultima, ma non per importanza, l’attivista marocchina Nawal Benaissa.

Ognuna di loro ha presentato la violenza di genere sotto diversi aspetti, evidenziando come essa non coincida semplicemente con l’atto violento in sé, poiché nasce ed è sostenuta da fattori storici, sociali, culturali e politici. Come non menzionare, quindi, il ddl Pillon? In un contesto politico con una ripresa di valori patriarcali misogini e anacronistici, il disegno di legge 735 (appunto il ddl Pillon) mette in evidenza la criticità del ruolo femminile all’interno della nostra società. Uno dei punti significativi di questa proposta di legge riguarda il divorzio e la separazione, per i quali si prevede la presenza obbligatoria di un mediatore, il cui compito sarebbe di “salvaguardare, per quanto possibile, l’unità della famiglia”. In questo modo non si tenta di proteggere il benessere fisico e psicologico dei componenti della famiglia, quanto l’istituzione in sé.  Inoltre, questa figura non sarebbe garantita

dallo Stato, ma dovrebbe essere una/un professionista privato, quindi a pagamento. Scelta significativa in quanto, spesso, in dinamiche familiari complicate, la donna si trova in una situazione di svantaggio economico. Diventerebbe, dunque, ancora più difficile per tali donne iniziare un percorso di separazione o divorzio.

Seconda criticità è l’abolizione dell’assegno di mantenimento per il genitore presso il quale il minore risiede. Questo articolo trova i suoi fondamenti negli stereotipi per cui le madri userebbero tali finanze per scopi personali, non riguardanti il mantenimento dei figli. Si tratta di una diretta conseguenza della disposizione per la quale i figli debbano passare pari tempo con entrambi i genitori. Il genitore che avrebbe passato meno tempo coi figli sarebbe quindi sollevato dal contribuire economicamente al mantenimento.

Il ddl tratta anche, negli articoli 17 e 18, della vera e propria violenza domestica: la violenza episodica non è più considerata violenza; secondo il nuovo testo infatti la violenza ci sarebbe solo in presenza di percosse o maltrattamenti regolari e continui. Nel caso in cui una donna con prole si rivolga a un centro antiviolenza, il coniuge ha il diritto di richiedere l’intervento di forze dell’ordine per riportare i figli sotto la propria tutela; se tuttavia viene esplicitata la volontà di vivere solo con uno dei due genitori, quello escluso ha il diritto di accusare l’ex coniuge di manipolazione di minore.

Questa serie di provvedimenti, non tiene conto delle situazioni di difficoltà per le quali sarebbe ancora più difficile per le donne vittime di violenza intraprendere un percorso di separazione o divorzio. Al contrario, sembra voler difende l’aggressore, invertendo il ruolo di vittima con quello di aguzzino. Un meccanismo estremamente pericoloso: distorce la realtà, edulcora una brutale situazione di violenza e permette di poter passare dalla parte di chi esercita violenza

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