BULLISMO: PARLIAMONE! I CONSIGLI DELLA PSICOLOGA DELLA SCUOLA

Angela Fernando, Ilaria Marcellino

Il bullismo ormai è un fenomeno molto diffuso, che spesso porta a depressione e anche al suicidio. Sebbene si continui ad incoraggiare le vittime di bullismo, consigliando di confidarsi con i genitori, a volte queste preferiscono rivolgersi all’esterno della famiglia, chiedendo per esempio aiuto e consiglio alla psicologa della scuola, che deve mantenere il segreto professionale. Per questo noi abbiamo deciso di chiedere alla nostra psicologa, dott.ssa Rossella Legato,  come ci si sente e cosa si prova ad aiutare le persone coinvolte nel bullismo.

Lei come può definire un bullo?

Possiamo dire che il bullo è una persona fragile, che recita un ruolo, un ruolo che le è stato in qualche modo  “appiccicato”: tutti noi durante la nostra vita riceviamo dei feedback dalle persone circostanti, dai contesti che frequentiamo e quindi impariamo ad aderire ad un’immagine e a rappresentarci con dei connotati. A volte anche essere “bulli” è un ruolo che rappresentiamo sul palcoscenico della vita ed assumere la parte dell’aggressore permette di manifestare quelli che sono i propri bisogni e, in un certo senso, di ricevere delle attenzioni. Possiamo dire che è un modo disadattivo di entrare in relazione con l’altro, imparato attraverso la violenza, l’abuso, l’oppressione al fine di ottenere l’attenzione. Chi fa il bullo ha capito che solo comportandosi così è in grado di relazionarsi con il prossimo. Quindi essere bulli è una strategia disfunzionale.

Lei come definisce una vittima?

Anche quello di vittima è un ruolo, non si è vittime sempre e comunque, come non si è bulli sempre, ma in alcuni contesti si adottano dei connotati che sentiamo in quel momento essere quelli che ci aderiscono meglio, quelli attraverso i quali riusciamo a farci riconoscere da chi ci sta attorno. E’ vittima chi gioca un incastro perfetto con il bullo: seppur paradossale, risulta un legame talmente perfetto che è difficile da scindere.

Secondo lei quale conseguenze provoca il bullismo?

Ci sono delle conseguenze importanti sia nella vittima che nel bullo; il fatto stesso che non si riesca ad abbandonare questo ruolo è già una conseguenza. Dalla parte della vittima c’è la sensazione di non riuscire a difendersi, di non farcela ad uscire dall’oppressione; da parte del bullo c’è la percezione di non accettazione, la sensazione di non essere in grado di fare diversamente. Quindi, in realtà, le conseguenze ci sono da tutte e due le parti. Anche le famiglie, le persone che stanno attorno alla dinamica vittima-aggressore, si trovano in difficoltà, provano  la sensazione di non riuscire a contenere l’aggressività del persecutore, di non riuscire a difendere l’aggredito. Un’altra conseguenza è l’isolamento: la vittima fatica a chiedere aiuto, ma il bullo ancor di più.

Vengono più spesso da lei vittime o bulli?

Vengono più spesso le vittime, in quanto il bullo fa fatica a chiedere aiuto, anche perché ha difficoltà a riconoscere il disagio, ha l’illusione che già si sta aiutando da solo opprimendo l’altro. La vittima, a volte e fortunatamente, riesce a chiedere aiuto, ma è difficile anche per le vittime farlo, perché occorre riconoscersi fragili al punto di non riuscire a difendersi e questa è già una presa di coscienza difficile da attuare.

La maggior parte dei bulli che vengono da lei arrivano spontaneamente o sono costretti?

Tendenzialmente il bullo non arriva per una sua autonoma scelta, ma perché qualcuno lo ha aiutato a prendere coscienza del bisogno di aiuto, quindi direi che vengono da me non tanto costretti ma accompagnati, guidati.

Quali consigli si possono dare alle persone colpite dal bullismo?

Non ci sono ricette valide per tutti, nel senso che il consiglio generico è quello di avere il coraggio di chiedere aiuto; però ogni caso è personale, diverso dall’altro: ognuno di noi ha fatto tanti piccoli pezzi di strada che mette insieme nell’arco della propria vita…tutti siamo portatori di un bagaglio personale e quindi anche i consigli devono essere individuati sulla base della storia singola, è molto difficile individuare un consiglio buono per tutti. Sicuramente il suggerimento più utile che possiamo dare ad un nostro compagno è quello di non restare isolato e non restare in silenzio, di parlare almeno con un persona amica, la quale potrebbe confidarsi in famiglia e far venire a conoscenza del problema un genitore che potrebbe così attivarsi, creando una sorta di cassa di risonanza.

C’è un’età in cui si sviluppa il bullismo?

Il bullismo è un comportamento vessatorio che si apprende sin dall’infanzia, quindi non c’è un’età in cui, come per magia, ci risvegliamo la mattina diventando bulli o vittime. In realtà alcune prescrizioni culturali molto diffuse dai media influiscono parecchio, come per esempio il modello di maschile e femminile: anche questo a volte inizia a instillare il seme della vessazione, della posizione di vittima; quindi non c’è un’età in cui scatta l’interruttore.

Il bullismo può essere anche al femminile?

Assolutamente sì.

Gli atti di bullismo sono maggiormente diffusi in ambito scolastico o in luoghi esterni?

La scuola non è necessariamente contenitore del bullismo. Probabilmente si viene a conoscenza più spesso di atti di bullismo nell’ambito scolastico, ma per una questione statistica, nel senso che i ragazzi trascorrono una percentuale delle ore della loro giornata molto alta all’interno del contesto scolastico: quindi, se dobbiamo andare a vedere dove si ha la possibilità maggiore di incontrare o di agire azioni vessatorie, è normale che si abbia molto più tempo a scuola. Ciò non significa però che la scuola sia contenitore di atti di bullismo: essi esistono in tutti i contesti.


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